Erice

Bastano pochi minuti di funivia o pochi chilometri di strada e saremo, come per incanto, in una sorta di Svizzera, dove, sulle pulitissime viuzze pavimentate a riquadri con orli di pietra bianca, si affacciano cortili e anditi abbracciati dal verde e dai fiori. E che frescura, che panorami sterminati! Siamo a 750 metri di altezza, sul culmine del Monte Erice che s’alza, isolato, presso la costiera. Da radure prative o da boschi di splendidi pini ci appariranno Trapani, le Egadi, il Monte Cofano e le alture che chiudono il Golfo di Castellammare; sul versante opposto, i monti di Sciacca, di Corleone e, sul mare, evanescenti, l’Isola di Pantelleria e la costa africana di Capo Bon. In tempi antichissimi qui sorgeva un villaggio di elimi, cioè di gente probabilmente anatoliche immigrate nel settore nord-ovest della Sicilia e poi congiuntesi coi preesistenti sicani. Disputata fra cartaginesi e siracusani, Erice fu presa da Pirro, ripresa da Cartagine che la distrussero e ne deportarono la popolazione a Drépanon (260 a.C.), rimanendo infine a Roma dopo il 241 a.C. Se da allora, fino ai tempi normanni della città se ne sa ben poco, il nome di Erice rimase legato, fino al declino dell’Impero, al santuario di Venere ericina, di fondazione ancora elima.

Era il più festosamente frequentato santuario del Mediterraneo: visitatori, e soprattutto marinai, carichi di orcioli di vino, di focacce, di sesterzi, si arrampicavano su questi sentieri per essere accolti fra le braccia delle sacerdotesse di Venere che, sacralmente, non potevano negare loro alcuna grazia, dietro però lauto compenso. Oggi l’aspetto di Erice è soprattutto medioevale: il suo massimo monumento è la chiesa matrice eretta in tempi aragonesi di fronte alla quale s’innalza un massiccio campanile aperto da bifore e sormontato da merli. Splendido il portale gotico preceduto da ampio pronao; interamente rifatto l’interno abbellito da una statua di Domenico Gagini e da un’ancora in marmo sull’altare maggiore, di Giuliano Mancino. Si entri nel locale museo per ammirare, fra l’altro, una piccola, deliziosa "Testa di Afrodite" del IV secolo a.C., nei modi di Prassitele, e una vibrante "Annunciazione" modellata da Antonello Gagini.

Il soggiorno ad Erice è confortato, oltrechè da un’ottima attrezzatura recettiva, e da una cucina con prelibate specialità (dolci di mandorle), anche da invitanti iniziative quali la rassegna della vettura d’epoca in luglio, e la rassegna mediterranea degli strumenti popolari che si conclude con il premio "Zampogna d’oro", in dicembre.